In Israele, dove io vivo, quasi tutti quelli che conosco si affannano a dare un senso a questa situazione folle. Non perché qualcuno sia rimasto sorpreso dalla violenza esplosa nuovamente nella nostra tormentata striscia di terra. Neanche per l’incredibile crudeltà dimostrata da ragazzi, alimentati dall’odio, di soli 13-14 anni o per l’approvazione da parte delle famiglie delle loro riprovevoli azioni. Più che altro il popolo d’Israele sta iniziando a comprendere di essere entrato in un vicolo cieco. Quando diventerà chiaro che sia il dividere la terra in due parti, la loro e la nostra, che lo stare fermi e mantenere il controllo militare non funzionerà, sarà ora di iniziare a pensare fuori dagli schemi.
Prima però, dobbiamo dare un’occhiata ai tentativi precedenti, per capire cosa non ha funzionato. Abbiamo provato ad applicare la forza militare per abbattere i terroristi sia dentro che fuori Israele e questo non ha represso il terrorismo. Oggi infatti ci sono più jihadisti disposti a sacrificare le loro vite per prendersi le nostre, più che in qualsiasi altro periodo della storia recente. Abbiamo provato delle manovre politiche; abbiamo cercato gli accordi di pace, in realtà moltissimi, e nemmeno uno è stato effettivamente valido (sebbene non tutti siano stati ufficialmente condannati dagli eredi dei nostri co-firmatari). Quando gli accordi sono falliti, abbiamo provato il ritiro unilaterale (da Gaza), con conseguenze disastrose. Abbiamo perfino cercato di sviluppare un “nuovo” Medio Oriente, basandoci sull’imprenditorialità tecnologica e sull’ampia forza lavoro a basso costo costituita dagli abitanti di Gaza in cerca di approvvigionamento. Nessuna di queste idee ha funzionato, in questi giorni, nessuno si aspetta che funzionino, di certo non in modo permanente.
L’unica cosa in comune a tutte le soluzioni di cui sopra è che tutte hanno richiesto, o almeno fatto affidamento, su la buona volontà della controparte, ma in assenza di una tale volontà, ogni accordo che si prova a realizzare è condannato sin dall’inizio. Pertanto, non dobbiamo guardare agli accordi che possiamo raggiungere o no con i nostri vicini, ma piuttosto dobbiamo guardare agli accordi che possiamo raggiungere tra noi!
Dagli albori della nostra nazione fino ai tempi attuali, la responsabilità reciproca e il cameratismo sono stati di fondamentale importanza per il nostro successo. Nel corso dei secoli, abbiamo sviluppato competenze scientifiche ed accademiche ben oltre tutte le altre nazioni. Abbiamo donato al mondo il monoteismo, l’umanesimo, il socialismo, numerose invenzioni salvavita e scoperte rivelatorie. Tuttavia, per sviluppare tutto questo abbiamo trascurato l’unico principio di cui oggi il mondo necessita maggiormente e che è completamente assente in tutto il pianeta: l’unione.
Quando dico unione, non intendo l’unione contro qualcun altro, per sconfiggere un avversario. Questo tipo di alleanza ci ha portato al punto in cui siamo, due guerre mondiali alle spalle e forse una terza di fronte. L’unione a cui mi riferisco è semplicemente questa: l’unione per amore dell’unione.
Meglio ancora, dal momento che dobbiamo avere un motivo per qualsiasi cosa facciamo, chiamiamola “unione per amore di esercitarla e condividerla”. La nostra nazione è frammentata e divisa in modo irriconoscibile. Se non lo sapessimo bene, potremmo mai supporre che gli Ebrei Ortodossi e i liberali del Labor party, per esempio, appartengono alla stessa fede o che i coloni Ebrei e gli elettori di Meretz condividono la stessa origine? Persino le relazioni tra Israele e la diaspora sono piene di discordia e Israele è vista da molti come un elemento di divisione tra gli Ebrei della diaspora.
Tuttavia, siamo ancora i discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, il cui retaggio di misericordia è incarnato nelle parole immortali di Rabbi Akiva: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Qui risiede la nostra forza, nell’unione al di sopra di tutte le differenze. Comunque, questo è importante e quindi ripeterò quanto detto sopra: questa unione non deve essere per sconfiggere qualcuno, ma semplicemente per superare i nostri ego che esplodono e creare un tessuto sociale vitale e sostenibile in cui gli Ebrei possano vivere fianco a fianco, in pace e armonia tra loro e con i vicini. In seguito, il nostro obiettivo dovrà essere quello di condividere quell’unione con chiunque sia interessato ad abbracciarla. Questo, di per sé, può dissolvere la campagna mondiale per demonizzare Israele agli occhi del mondo.
Il nostro motto deve essere qualcosa come: “Quando il gioco si fa duro, i buoni cominciano a giocare”, perché è tutto quello che dobbiamo fare, tendere una mano amichevole all’altro, senza domande. Come già ci è stato detto un milione di volte, questa unione farà scaturire tutte le forze che necessarie per risolvere i nostri problemi sociali, economici e politici, sia a livello interno che internazionale.
Originariamente pubblicato su L’Huffington Post Italia