Il 19 agosto, il Movimento Ebraico Riformista ha pubblicato il suo responso ufficiale sulla questione Iran. Questo ha manifestato una grande preoccupazione ed incertezza per il futuro, ma sembra volersi astenere dall’esprimere dichiarazioni esplicite perché “In questo momento, non c’è omogeneità di opinione tra la leadership del Movimento Riformista – similmente a laici e rabbini – così come non c’è unità tra i nostri membri riguardo allo stesso JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action)“. Credo che questo sia il nostro problema principale, se non l’unico.
La disunione ha contaminato ogni angolo del mondo ebraico, è il veleno che si nasconde dietro ogni sguardo obliquo che ci lanciamo, dietro ogni parola che diciamo sugli altri (molti lo fanno) e dietro la nostra indecisione su come dovremmo reagire ad eventi sociali e politici.
La disunione descritta nel comunicato del Movimento Ebraico Riformista riecheggia lo spirito di altre confessioni della Comunità Ebraica Americana. Tuttavia questa impallidisce, paragonata alla disunità interna d’Israele. Il paese è talmente diviso e frammentato che dovrebbe essere chiamato “Gli Stati d’Israele” piuttosto che “Lo Stato d’Israele”. C’è lo stato di Tel Aviv, lo stato di Bnei Brak (dove vivono gli ultraortodossi vicino a Tel Aviv), lo stato di Gerusalemme e lo stato della periferia. In realtà, a molti che vivono nel centro d’Israele sembra che la periferia non sia nemmeno parte di Israele, ma una sorta di eccedenza. Oltre a ciò ci sono numerose fazioni e frazioni divise da alleanze politiche, etnia, cultura, accento, istruzione, quartiere, livello di osservanza e così via.
In breve, siamo divisi nel nucleo.
Ma la nostra rovina è anche il nostro guadagno. Siamo sempre stati divisi e ci sono state sempre controversie e, a volte, perfino violenza tra noi. La divisione non è un male in sé e per sé, al contrario, è segno di vitalità e pluralismo di idee. La domanda è come gestire le nostre differenze, se le utilizzeremo come livello per rafforzare la nostra unione, questo sarà il nostro guadagno, se resteremo vittime dei nostri ego e lasceremo che le differenze ci separino, sarà la nostra rovina.
Nel nostro remoto passato, abbiamo superato le differenze ed abbiamo formato una nazione come nessun’altra, una nazione talmente meritevole che le venne affidato il compito di essere una “Luce per tutte le nazioni”. Questo ci è stato lasciato in eredità con la missione di servire da modello di unione al di sopra delle differenze. Quindi, più ci siamo uniti, più i nostri ego hanno chiesto di esprimersi e più la nostra unione è diventata ardua.
Una volta che ci siamo uniti “Come un solo uomo con un solo cuore”, siamo diventati una nazione. Ma dal momento che abbiamo perduto quell’unione, abbiamo perso il nostro diritto di essere considerati “una nazione”. A giusta ragione, molte persone, sia ebrei che non ebrei, sentono e dicono che quel compito di essere una luce per le nazioni non è più rilevante per gli Ebrei di oggi. Semplicemente, loro non vedono in noi nulla di “illuminante”, tutto ciò che emaniamo è conflitto e discordia.
Noi, la nazione che ha coniato il principio “Ama il tuo prossimo come te stesso”, mostriamo tutt’altro. Certo, alcune nazioni trattano il loro popolo con impensabile crudeltà, ma il mondo ignora completamente le loro atrocità ed invece ritrae noi come i furfanti numero uno del mondo. C’è una semplice ragione per questo: il mondo non si aspetta che la Siria, l’Iran, la Cina o anche gli Stati Uniti siano modelli di comportamento per l’umanità. Più precisamente, non si aspetta che siano modelli di unione! Questo certamente se lo aspettano da noi ebrei.
Fin quando non ci uniremo, continueremo ad essere chiamati “guerrafondai”. Certo verrà imputato a questa o quella situazione politica, ma in primo luogo, la sensazione di fondo che noi siamo la causa di tutti i problemi è il motivo per cui la gente ci muove tali accuse.
Siamo una nazione che era riuscita a superare le fratture più profonde unendosi al di sopra di esse e non con la soppressione delle varie opinioni da parte di un pensiero dominante. Inoltre, eravamo riusciti a sfruttare le nostre differenze per il bene comune, in modo che non solo ammette l’esistenza di altre opinioni, ma persino rafforza altri punti di vista, senza negare il proprio. Questa sorta di pluralismo oggi non esiste in altre parti del mondo, ma è necessario che noi lo realizziamo se vogliamo sopravvivere come società umana. Nessuno sa come, nemmeno gli ebrei, tuttavia saremo accusati di non condividerlo. Pertanto non abbiamo altra scelta che imparare di nuovo quest’arte per condividerla con tutta l’umanità.
L’invito del momento non è combattere per questo o quel trattato, non è neanche connettere Tel Aviv con Sderot o l’ultraortodosso con l’ultrasecolare, si tratta semplicemente di unirci al di sopra delle differenze ed essere un esempio d’amore fraterno “Come un solo uomo con un solo cuore”. Questo è il nostro invito all’azione. Sfide esterne, come l’accordo con l’Iran, continueranno a pressarci per farlo, allora meglio farlo prima che poi.
Originariamente pubblicato su L’Huffington Post Italia