Se continueremo a cercare di integrarci invece di essere un modello di unione, il mondo ci mostrerà nuovamente il nostro ruolo.
Nel corso della storia, ci sono stati ebrei che hanno odiato il proprio patrimonio spirituale. E nel corso della storia, la loro crescita considerevole ha sempre preannunciato disgrazie per gli ebrei. Sarà un’eccezione l’attuale eccesso di ebrei che odiano se stessi nella comunità ebraica americana?
Negli ultimi anni, abbiamo visto un aumento nel numero degli ebrei americani che, per dirla con franchezza, preferirebbero che lo stato di Israele non esistesse. Esempi rilevanti di tali ebrei sono George Soros, il quale spende centinaia di milioni del suo denaro ogni anno per sostenere organizzazioni anti israeliane; Bernie Sanders, che nel 1985 invitò il compagno (ebreo) detrattore di Israele, Noam Chomsky, a tenere un discorso in municipio, non protestando quando Chomsky affermò, con disinvoltura, che Israele “non desidera una soluzione politica” in Medio Oriente, che ha agito da sterminatore surrogato degli USA e che ha portato avanti uccisioni di massa “in Africa, in Asia e soprattutto in America Latina”. Più recentemente, Sanders ha affermato che Israele ha ucciso “oltre 10.000 persone innocenti” nell’ultimo conflitto con Gaza. Persino le stime più alte delle vittime di Hamas rappresentano solo un quarto di questo numero.
Comunque, se i due appena citati sono fra i più risoluti attivisti ebrei anti israeliani, essi non rappresentano di certo l’eccezione, anzi sono ormai diventati la norma. È vero però che non tutti gli ebrei americani sostengono attivamente il movimento BDS nel modo in cui fanno organizzazioni come Jews for Justice in Palestine e Jewish Voices for Peace (Ebrei per la giustizia in Palestina e Voci Ebraiche per la pace), né si impegnano nel firmare petizioni che chiedono il boicottaggio di Israele o aiutano a organizzare i campi estivi del BDS. Eppure, rifiutare Israele è già diventato una norma, soprattutto fra gli ebrei liberali e progressisti. Una ricerca pubblicata dal Jewish People Policy Institute, dal titolo “Delegittimazione: atteggiamenti verso Israele e il popolo ebraico”, ha concluso che gli ebrei democratici stanno mostrando verso Israele “erosione e diminuzione di sostegno”.
Ci siamo già passati
L’autolesionismo degli ebrei non è un fenomeno nuovo. Tiberio Giulio Alessandro, il comandante dell’esercito Romano che conquistò Gerusalemme ed esiliò il suo popolo, era un ebreo di Alessandria che biasimava la propria religione. Suo padre aveva donato oro e argento per la costruzione delle porte del Tempio che Alessandro distrusse. Nel momento in cui Tiberio Alessandro assalì Gerusalemme, egli era già diventato famoso per aver cancellato la sua comunità natale di Alessandria, provocando, secondo lo storico ebreo romano Tito Flavio Giuseppe, “un bagno di sangue nell’intera regione con 50.000 corpi ammassati”.
Gli ebrei della diaspora, pensarono di aver trovato finalmente una casa, dopo secoli di oppressione, nella Spagna del XV secolo. Lo storico Norman Roth scriveva che gli ebrei “coltivavano un legame unico con i loro ospiti spagnoli”. In Jews, Visigoths, and Muslims in Medieval Spain, Roth scrive: “Era talmente insolita la natura di quel rapporto (fra Ebrei e Cristiani) che in spagnolo veniva usato un termine speciale per questo… convivencia (coesistenza amichevole)”. L’esperta di storia Sefardita, Jane S. Gerber, aggiunse che, infatti, gli ebrei consideravano la Spagna “una seconda Gerusalemme”.
Eppure, più gli ebrei spagnoli venivano integrati, più l’odio attorno a loro cresceva. Secondo Roth, “Il ruolo dei conversos (Ebrei convertiti al Cristianesimo) nella società ha condotto a una feroce ostilità contro di loro, sfociata, alla fine, in una vera guerra” che si è sviluppata nell’Inquisizione, provocando l’espulsione definitiva degli ebrei dalla Spagna. Inoltre, l’Inquisitore Generale Tomás de Torquemada era egli stesso di origine ebraica, essendo sua nonna una conversa.
Avremmo potuto imparare dall’esperienza dei nostri antenati Sefarditi, ma non l’abbiamo fatto. Durante il XIX e il XX secolo, gli ebrei tedeschi hanno vissuto un processo molto simile a quello avvenuto in Spagna. Il libro Assimilation and Community: The Jews in Nineteenth-Century Europe, descrive come nel 1799, pochi anni dopo l’inizio dell’emancipazione degli ebrei, David Friedlander, uno dei più importanti leader della comunità ebraica, suggerisse agli ebrei berlinesi di convertirsi in massa al Cristianesimo. Dalla metà del diciannovesimo secolo, il Giudaismo riformato, progenitore ideologico dell’odierno American Reform movement, è andato così oltre nella ricerca di integrazione nella società cristiana tedesca che ha suggerito l’eliminazione della circoncisione e di rendere la domenica il giorno sacro per gli Ebrei.
Sappiamo tutti come si sono concluse l’assimilazione ebraica per gli ebrei tedeschi e la negazione del loro retaggio. La comunità ebraica americana di oggi è sulla stessa strada che i correligionari calcarono a Gerusalemme, in Spagna e in Germania. Finora non ho visto segnali per cui potrebbe finire in maniera diversa.
Perché così tanti ebrei odiano l’Ebraismo
Fin dall’inizio, noi Ebrei siamo stati diversi. I nostri antenati erano un insieme di individui di differenti tribù e culture che condividevano l’idea di unione al di sopra dell’odio o come scrisse Re Salomone: “L’odio provoca litigi, ma l’amore copre tutte le colpe” (Proverbi 10:12). In altri termini, i nostri antenati non avevano in comune un linguaggio, un luogo di provenienza o una cultura, piuttosto condividevano l’ideologia che l’unione al di sopra dell’ego fosse la strada per costruire la società.
Eppure, l’ego cerca sempre di rivendicare il suo trono. Gli Ebrei hanno coltivato la propria ideologia di unione nonostante i loro ego esplodessero e si sono sforzati di raggiungere lo scopo ultimo di amare gli altri come se stessi. Il popolo ebraico ha prosperato tutte le volte che ha avuto la meglio sull’ego. Tuttavia, quando l’ego ha trionfato, gli Ebrei hanno smesso di essere Ebrei e sono diventati quelli che erano prima: individui di diverse tribù e culture. In quei momenti, odiavano la loro unione forzata e detestavano il loro retaggio. In altre parole, quando gli Ebrei non possono unirsi, diventano antisemiti.
Non per noi stessi
Il problema è che l’odio per noi stessi è proprio ciò che causa la recrudescenza dell’antisemitismo. Se non altro, abbiamo imparato che questa è la lezione che dobbiamo trarre dalla storia: le nazioni diventano antisemite proprio quando e poiché noi cerchiamo di integrarci. Nel 1929, il dr. Kurt Fleischer, leader dei Liberali nell’Assemblea della Comunità ebraica di Berlino, sostenne che “l’antisemitismo è il flagello che Dio ci ha mandato per farci stare insieme e riunirci”. Similmente a Fleischer, il prof. Donald L. Niewyk scrisse sull’ascesa del Nazismo: “Non pochi ebrei vedono l’antisemitismo come un dono che, da solo, potrebbe impedire agli ebrei di integrarsi gradualmente alla società più grande e scomparire definitivamente”. E che dono è stato!
Al di là di tutto, l’unione non è solo una caratteristica da preservare ma è esattamente ciò che dobbiamo coltivare fra noi e che dobbiamo trasmettere alle nazioni del mondo. Non è una coincidenza che le nazioni abbiano fatto proprio il principio fondamentale della legge ebraica, “Non fare agli altri quello che tu odi”. Ma le nazioni non sapranno come applicarlo fino a quando non mostreremo loro la strada. Più ritarderemo, più il mondo proverà un odio rabbioso e ci punirà per questo.
Quando il nostro patriarca Abramo accolse nella sua tenda i ribelli scappati dall’odio che sentivano fra i propri concittadini, egli condivise generosamente la sua saggezza con loro. Abramo voleva che tutto il mondo fosse unito. Al suo tempo, un popolo come gli Ebrei non esisteva neppure.
Nel momento in cui Mosè riunì gli Ebrei ai piedi del Monte Sinai, proprio come Abramo, egli “desiderava completare la correzione del mondo” (Ramchal, Il commentario di Ramchal alla Torah). La nostra missione, perciò, di essere “Una luce per le nazioni”, è molto più impegnativa dell’essere “liberali”, permettendo a tutti di pensarla come vogliono. La nostra missione è unire i cuori di tutta l’umanità fino a quando saremo tutti “Come un solo uomo con un solo cuore”. C’è da meravigliarsi se il mondo vuole vedere un esempio prima di poter realizzare questo obiettivo?
Il più noto antisemita della storia americana, Henry Ford, riconobbe il ruolo degli ebrei nel suo libro L’ebreo internazionale: “I moderni riformatori che stanno costruendo sistemi sociali modello, dovrebbero esaminare il sistema sociale in base al quale erano organizzati i primi ebrei”.
Non ho dubbi sul fatto che l’amministrazione Trump sarà molto più comprensiva verso gli ebrei e Israele di quanto non lo sia stata quella attuale. Tuttavia, se perdiamo l’opportunità e continuiamo a cercare di integrarci invece di salire al di sopra del nostro ego, connettendoci e divenendo così un modello di unione, allora le nazioni ci ricorderanno ancora una volta il nostro vero ruolo su questo pianeta.
A proposito di Israele
In aggiunta a quanto già detto, credo che la comunità ebraica americana debba non solo comprendere ed esercitare il proprio dovere per unirsi, ma anche spingere gli ebrei in Israele a fare lo stesso. Dato che la comunità ebraica americana è così influente qui in Israele, essa può essere molto determinante nel raggiungimento dell’obiettivo. A mio avviso, si dovrebbe cominciare prima di tutto con gli ebrei israeliani laici, dal momento che sono più aperti e ricettivi alle idee provenienti da oltre oceano. Nel momento in cui cominceremo a connetterci noi e i nostri figli, anche il mondo intero attorno a noi comincerà a connettersi positivamente. In questo, saremo veramente “Una luce per le nazioni”.
Originariamente pubblicato su Unitingeurope.blogactiv.eu